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Talvolta i capi vengono per nuocere

Talvolta – più spesso di quanto vorremmo – abbiamo a che fare con un capo che disprezziamo. Lo troviamo meschino, interessato, e ci chiediamo come possa aver raggiunto una tale posizione di responsabilità.

C’è un sistema che non solo lo permette, ma lo facilita. E le idee fondamentali che ne assicurano il funzionamento sono sostanzialmente due: che l’azienda è un meccanismo piramidale, e che l’obiettivo è massimizzare il proprio potere nella piramide.

Esistono più risposte possibili a questa situazione, tutte provvisorie. Il segreto è affrontarle con consapevolezza. E la consapevolezza piena si ha a partire da due idee: che l’azienda è un organismo complesso, e che ha l’obiettivo perseguire valore per tutti. Questo, permette non solo di sentirci sereni, ma più degni. Questo, è lo spirito del Lean Thinking.

Sono i comportamenti che rivelano una certa idea. Il modo in cui rimproveriamo un figlio, ad esempio, rivela se concepiamo il ruolo di padre (o madre) come amico, come correttore, come tutore o come genitore. Possiamo dire che la nostra idea di padre (o madre) è ciò che emerge da quello che facciamo e da come lo facciamo in tutte le sue sfumature: non da quello che diciamo o, ancora meno, pensiamo.

Allo stesso modo, sono i comportamenti di un manager che rivelano due idee fondamentali sull’azienda:

  • come funziona un’azienda, e
  • la relazione che si ha con quell'azienda.

Ad esempio, prendiamo un manager che seleziona i progetti da fare in funzione del lustro che gli danno. Un manager che dice di ascoltare tutti, ma si arrabbia se non fai come dice lui. Un manager che promuove chi gli dice di sì, mentre esclude di fatto chi espone dubbi. Un manager le cui idee sono funzione di quelle dei capi, e che pretende che le idee dei suoi siano funzione delle proprie.

Questo manager ha un’idea di azienda meccanica: chi è nelle posizioni di vertice decide, chi sta in mezzo fa implementare e chi sta alla base della gerarchia – beh – implementa. È un’idea di azienda che separa la strategia dall’esecuzione. Un’idea in cui l’unico problema alla riuscita di un piano perfetto è la resistenza al cambiamento da parte degli operatori.

Tale idea è molto, molto diffusa nelle aziende. certamente è l'idea prevalente.

Ma questo manager ha anche un’altra idea, che lo rende disprezzabile: che l’azienda è il mezzo per l’allargamento del potere personale (in particolare, del proprio potere). Se fai quel che ti dico, allora fai parte della mia cordata. Siamo un clan, siamo un branco. È anche importante che tu lo faccia a prezzo di sacrifici personali: con lunghe ore di lavoro e calpestando – anche inconsapevolmente – i tuoi colleghi con una pretesa, con un’illazione, con un controllo indebito sul loro operato.

È una specie di ordalia, la prova del fuoco delle popolazioni barbariche. Esiste ad esempio nelle prove iniziatiche delle gang di strada, in particolare le gang latino-americane. La funzione di questa prova è psicologica, e la sua forza è scientificamente documentata: fare qualcosa di difficile, immotivato e che calpesta il senso del bene o del giusto, crea un senso di appartenenza viscerale che ha sede nelle parti più oscure del nostro animo. Così profonda che, se non ti strappi via al momento della prova, poi diventa impossibile venirne fuori a meno di un evento traumatico (ad esempio, in azienda, se un collega-amico va in depressione a causa del tuo operato).

Ce ne sono molti di questi manager, proprio perché il sistema della cordata (che, a chiamarla col suo nome, è una gang aziendale) è estremamente efficace. C’è una selezione positiva di chi la pensa in questo modo, e c’è una selezione positiva per far cadere nel gorgo persone che non la pensano in questo modo.

Per essere esatti, persone che credono di non pensarla in questo modo: la nostra idea di azienda emerge dai nostri comportamenti, non da quel che diciamo o, tanto meno, pensiamo.

Una cordata è come una pianta parassita: può sopravvivere solo perché c’è una parte sana che, nonostante tutto, offre valore al cliente. È la motivazione etica delle persone ordinarie, quelle disprezzate, che fanno sopravvivere l’azienda nonostante tale management. Il quale, infatti, spesso dà per scontato l’attività ordinaria, non se ne occupa perché è tutto focalizzato sulle cose che gli faranno fare il prossimo salto di carriera. Che riuscirà a fare, statene certi.

Infatti solo chi è gerarchicamente “sotto” si rende conto di questo comportamento. Chi è “sopra”, se ha una visione meccanica dell’azienda (quasi tutti, come dicevo), vedrà soltanto un capo capace di far implementare le proprie idee. Quindi qualcuno da promuovere.

 

Chi si ritrova con un tale manager, se non lo asseconda, generalmente si pone nella posizione di default del tipo “a domanda rispondo”. È la risposta più naturale, che ci posiziona fuori dalla gang ma consolida il potere manageriale, perché si entra a far parte di quel gruppo di persone che assicurano la vita della parte sana della pianta. E' una risposta naturale ma penosa, perché dà energia alla cordata e alimenta il disprezzo di sé: faccio quel che mi chiedi perché sei tu il mio capo, e cerco comunque di far andare avanti le cose. Una posizione così penosa che talvolta porta a chiedere un demansionamento delle proprie responsabilità al manager: "io non voglio fare questo, non voglio espormi ai tuoi rimproveri motivati dalle logiche di potere".

Esistono anche altre risposte, tutte difficili.

Una è quella di smettere di tappare le falle aperte sull’attività ordinaria. Ma questo vuol dire rinunciare a dare valore al cliente (che non c’entra niente), e la rabbia non sempre giunge a tali livelli. È su questa scelta etica della parte sana, che il leader della gang fa affidamento.

L’altra risposta percorribile è cambiare azienda. “We always reach a company, but we always leave our boss”. Il manager non ne risentirà più di tanto: tranne un fastidio iniziale, potrà rimpiazzarvi con qualcuno di meno scomodo, e la selezione positiva delle gang continuerà a fare il suo lavoro. Ma recupererete la vostra dignità e, alla fine, in molti casi, (se non avete un legame troppo profondo con quell’azienda), è questo quel che conta.

C’è poi la possibilità (più difficile) del dissenso: massimizzare le energie dedicate a risolvere problemi con i vostri collaboratori e, al tempo stesso, ridurre al minimo le energie dedicate al perseguimento delle idee del management. È in certi casi un suicidio professionale, ma catalizza il conflitto con il manager e lo fa giungere più in fretta ad un epilogo. In alcuni casi, però, è preferibile a uno stillicidio di anni, e la miglior tattica in attesa di un’altra offerta di lavoro; più di rado, quando non si è sostituibili per competenze tecniche o altro, può persino risultare la miglior tattica in assoluto.

Perché l’azienda non è un organismo meccanico, ma complesso. E non esiste in funzione dell’esercizio del proprio potere, ma in funzione del valore da generare per tutti. Queste sono verità, per chi le sa vedere. E sono la spina dorsale del Lean Thinking.

Qualunque sia la tattica che adottate, se riuscite a mantenere questo punto di vista, potrete mantenere quel senso di dignità personale che sembra perduto. E che è la vera cosa che fa soffrire. 

 

Immagine: https://images.pexels.com/photos/3760790/pexels-photo-3760790.jpeg?cs=srgb&dl=pexels-andrea-piacquadio-3760790.jpg&fm=jpg